L’accogliente località di Casale di Felino, appena fuori dai confini dei Comune di Parma e già prossima alle colline, era, sino a qualche anno fa, un assolato villaggio di cinque case e altrettante famiglie; oggi, complice lo sviluppo edilizio, è diventata un elegante centro residenziale in continua espansione: fattore che ha contribuito ad accrescere rapidamente il numero degli abitanti, conferendo così all’antico «villaggio» una più compatta fisionomia di paese. Troviamo per la prima volta il nome di Casale nei registri ducali del l560 riguardanti il catasto per il pagamento delle tasse. Quando, infatti, Parma fu eretta a ducato da Paolo III e primo duca fu Pier Luigi Farnese (1545-47), si pensò subito di istituire un catasto per il pagamento delle tasse. Questo, però, non pote avere esecuzione che nel 1560, con vari incaricati o periti distribuiti peri singoli paesi del ducato. Nelle voluminose carpette riguardanti Felino si trova anche il Casale, però con la dicitura «Casale di Carignano», così descritto: «campo assolato, servadico, aratorio, con ragione di aqua (sic) con qualchi arbori e confina da mattino a pascolo, verso nona la strada, de sera la strada montanara». E ancora: «Boschivo con pioppo, confina da mattina al medesimo, da nona con l’illustrissima marchesa Camilla Pallavicino, da sera con la Baganza, di sotto con la medesima marchesa Pallavicino». Chi fosse la menzionata marchesa, lo si può ricavare dall’albero genealogico dei Pallavicino da cui si apprende che, nel 1502, alcuni membri divennero feudatari di Felino, ossia Girolamo, Antonmaria, Galeazzo e Ottaviano. Va tuttavia precisato che la marchesa in questione non fu mai feudataria del Casale, ma semplicemente posseditrice di beni per i quali teneva in loco un amministratore, risiedendo ella di norma a Cortemaggiore o a Busseto. Dunque, dalla suddetta descrizione catastale, apprendiamo che il Casale di Carignano aveva poche case, poco terreno coltivabile, non ancora l’Oratorio e nessuna casa signorile, mentre la maggior parte dei terreni era di proprietà della suddetta marchesa. Pur appartenendo al Comune di Felino, ecclesiasticamente Casale rientra nella vicina e più vasta parrocchia di Carignano il cui parroco già dal 1792, come si dirà oltre, «officia neigiorni festivi» nell’Oratorio là esistente. Gioiello e vanto di questa «rinata» comunità è, infatti, da sempre, il piccolo, ma prezioso Oratorio dedicato a S. Rocco che si erge col caratteristico campanile isolato nella verde campagna, straordinariamente pieno di fascino nella sua semplicità. Costruito dopo la meta del ‘500, costituisce un bellissimo esempio di architettura minore del secolo XVI. Ha una facciata in stile romanico con elementi gotici, un bel rosone e un caratteristico fregio in cotto ad archetti intrecciati che percorre tutta la sottogronda dell’intero perimetro. L’interno, semplice e arioso, è ad un’unica navata con volta a botte e contiene uno stupendo trittico attribuito al cremonese Francesco Tacconi sopra la porta d’ingresso, raffigurante l’Annunciazione, la Trinità e la Croccifissione (1); trittico che ricorda, appunto, la più nota pittura cinquecentesca. L’Oratorio dedicato a S. Rocco, fa supporre che sia stato eretto in occasione di una pestilenza, poichè tutti gli oratori e chiese dedicati a tale santo ebbero origne dal morbo da cui il santo è ritenuto liberatore. Il suo culto fu riconosciuto dal Concilio di Costanza nel 1414: da quella data sorsero diverse chiese a lui dedicate soprattutto nelle province di Parma e Piacenza: fu in quest’ultima città che il santo contrasse la peste ritirandosi poi a Sarmato sulla Trebbia. Cosi, tra gli altri, anche l’Oratorio del Casale dovette sorgere dopo il suddetto Concilio; lo troviamo ricordato per la prima volta nei documenti della visita di mons. Giovanni Battista Castelli, Vescovo di Rimini, alla diocesi di Parma nel 1578-79, ed è da ritenersi uno degli oratori più antichi in diocesi di Parma eretti in onore di questo santo, anche se altri ne sono stati edificati, posteriormente, però, alla peste del 1630, durante la quale la devozione al santo fu veramente intensa e spontanea. Tutto fa supporre che, a poca distanza dall’attuale Oratorio, sorgesse anche il Lazzaretto per gli appestatì e, di conseguenza, anche il cimitero per i morti di peste. Una lapide sulla parete a destra di chi entra, dice; «Hac in aede divo Rocho sacra res divina ut quotidie peragi possit Archipresbyteri Angeli et Thomae fratrnm Cella votis — Indulsit ex Apostolica visitatione — F. Pettorelli Episcopus — Postridie non. julias MDCCLXXIX». Ossia: «Perchè ogni giorno si possa celebrare il culto divino in questo oratorio consacrato a San Rocco, il Vescovo Francesco Pettorelli (Lalatta), l’8 luglio 1779, ha risposto positivamente alle preghiere dei fratelli Cella, l’Arciprete Angelo e Tommaso». Notizie più precise sulla famiglia Cella vengono desunte dal ricco archivio parrocchiale di Carignano, da cui si apprende, appunto, che l’Oratorio di S. Rocco in Casale fu di proprietà (da data imprecisata) della suddetta famiglia la quale ottenne, nel 1779, il permesso di celebrarvi la Messa quotidiana. Nel 1792, inoltre, l’Oratorio fu donato dai fratelli Cella alla parrocchia di Carignano, perchè divenisse Oratorio pubblico, con le precise disposizioni testamentarie che seguono: «…il parroco pro tempore di Carignano tutte le feste dell’anno vada immancabilmente a celebrare la santa Messa nell’Oratorio del Casale per commodo degli abitanti di que’ contorni, il medesimo nello stesso Oratorio tutte le domeniche dell’anno insegni la dottrina cristiana a quelli che concorreranno ad ascoltarla…». Nella medesima disposizione testamentaria, sono inoltre espressi alcuni «obblighi» circa la festa di S. Rocco: «…i Parochi pro tempore siano tenuti in perpetuo a celebrare ogni anno nell’Oratorio del Casale la festa del glorioso san Rocco cadente il 16 agosto di ogni anno colla convenevole decenza, e siano celebrate nella detta festa nello stesso Oratorio almeno dieci Messe, acciò li concorrenti abbiano il commodo di ascoltarla…». Dal 1792, dunque, i parroci di Carignano celebrano la Messa nei gorni festivi e solennizzano la festività di San Rocco. Ricorrenza che risultava particolarmente attesa e sentita sino a qualche decennio fa, quando molti fedeli dei paesi limitrofi e delle vicine montagne, seguendo il corso del Baganza, confluivano al Casale per partecipare alla solenne processione in onore di San Rocco ed esprimere così la loro gande e sincera devozione: frutto di una fede ben salda e radicata, che purtroppo oggi ben raramente osserviamo nelle nuove generazioni. I danni causati dagli agenti atmosferici e dal terremoto del 9 novembre 1983 avevano compromesso seriamente tutto quanto l’interno e il prezioso trittico (2). Nellestate 1985 ebbero inizio i lavori di restauro al pregevole sacro edificio, resi possibili grazie al contributo degli Artisti Parmensi e a quello elargito dal fondo per le chiese terremotate. Si è provveduto pertanto al rifacimento del tetto, al restauro e al consolidamento del campanile, al tinteggio esterno e interno ed alla disposizione dell’altare secondo le nuove norme liturgiche. I lavori, portati a termine in breve tempo e inaugurati l’8 dicembre 1985 alla presenza del vicario generale della diocesi mons. Franco Grisenti, hanno suscitato l’apprezzamento e il plauso dei parrocchiani, ma anche di coloro che, per nascita o per «elezione», hanno tuttora un legame affettivo con il Casale. Tornato dunque a risplendere di nuova luce, l’Oratorio di San Rocco viene ulteriormente ad arricchire, quale prezioso gioiello «salvato» ma non ancora del tutto riscoperto, il già cospicuo patrimonio storico-artistico della vallata.
(1) L’affresco posto sulla parete interna della porta d’ingresso, secondo alcuni, è da attribuire a Francesco Tacconi da Cremona; secondo Lucia Fornari Schìanchi è, invece, attrifluibile «alla Famiglia Loschi, a Jacopo soprattutto (Parma 1425-Carpi 1503), verso gli anni sessanta-settanta del quattrocento» (Gazzetta di Parma, 19 settembre 1986, p. 3). La raffigurazione sembra essere un facondo compendio delle verità fondamentali deila fede cristiana; unità e trinità di Dio, incarnazione, passione, morte e risurrezione di Cristo. Il riquadro centrale, infatti, raccoglie in unità, le tre figure del Padre (nella mandorla interrotta dall’arco), il Figlio sulla croce e lo Spirito Santo che esce dalle mani del Padre in forma di colomba; i due quadranti, con l’Angelo annunciante e la Vergine verso la quale vola la colomba, rappresentano l’incarnazione, mentre il Crocifisso è l’evidente immagine della passione e della morte, e gli angeli adoranti alludono alla divinità del morto, che trionferà nella risurrezione. L’affresco è stato restaurato nel 1986 sotto il patrocinio dell’Inner Wheel di Parma Est, per opera del dott. Marco Sarti di Bologna e con la direzione della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Parma. (2) Sul problema del salvataggio dell’0raI:orio di San Rocco, v. Gazzetta di Parma, 4-11-84, p. 10; Vita N1to’i¤a, 23-3-B5, p. 8. |
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